Il CEO italiano delle grandi quotate è uomo, di 61 anni, spesso senza titolo accademico avanzato e con una lunga carriera interna alla stessa azienda.
Un dato che ci rende il Paese con i CEO più anziani d’Europa. Peggio di noi, a livello globale, solo gli Stati Uniti.

Ma la vera emergenza riguarda il genere: su 40 società del Ftse Mib, solo una CEO è donna (Giuseppina Di Foggia di Terna).
Con un misero 3% di presenza femminile, siamo molto sotto la media europea (7%) e globale (8%).
Paesi come Francia, Finlandia e Danimarca, pur senza eccellere, mostrano percentuali tra l’8% e il 13%.
Nel mondo, Australia, Nuova Zelanda e Singapore si fermano comunque sotto il 20%.

Doppia la barriera per il ricambio ai vertici:

  • Età di nomina avanzata (54,5 anni in media) e permanenza lunga (oltre 6 anni).
  • Pipeline femminile bloccata: poche candidature e autoesclusione delle donne che si candidano solo se soddisfano il 100% dei requisiti, contro il 60% degli uomini.

Bombetta finale, il livello formativo: solo il 38% dei CEO italiani ha un titolo avanzato (contro il 70% europeo) e appena il 20% ha un MBA.

E vabbè, che sarà mai… è giusto che siano persone di esperienza a guidare le aziende ma sembra che il sistema italia fatichi a rinnovarsi e a contaminarsi con nuove energie, competenze e visioni, rischiando di frenare innovazione e competitività.

Fonte? Il report “Route To The Top” di Heidrick & Struggles.

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