Dopo anni di entusiasmo per il cloud pubblico, molte grandi aziende — in primis banche e istituzioni governative — stanno rivalutando le proprie strategie. Il motivo? Costi crescenti, rincari energetici e la consapevolezza che non tutto può (o deve) stare nella nuvola.

Secondo uno studio Cloudera, il 45% delle aziende italiane è oggi preoccupato per i costi legati alla gestione dei dati, tanto da avviare un “rimpatrio” di sistemi e applicazioni nei data center aziendali. Si afferma così un modello ibrido, che coniuga la scalabilità del cloud pubblico con il controllo e la sicurezza dell’on premise.

Ma attenzione: l’ibrido funziona se è davvero integrato. E qui iniziano le sfide. Solo il 19% ha adottato architetture data lakehouse, e solo il 22% si fida realmente dei dati per prendere decisioni strategiche. Il resto combatte con silos, complessità e scarsa governance. Sul fronte informatico sembriamo un po’ delle banderuole, un po’ come Trump con i dazi, c’è molto da fare.

In tutto questo, l’AI spinge verso l’alto la spesa IT (6,8 miliardi nel 2024 in Italia secondo l’Osservatorio PoliMi), ma evidenzia ancor di più la necessità di una strategia dati solida. Il cloud è un abilitatore, certo. Ma non è l’unica risposta.

E così, mentre il public cloud cresce, tornano in auge anche tecnologie “vintage” come l’edge computing, soprattutto nei settori ad alta criticità. L’edge computing è un’architettura IT che consente di elaborare i dati direttamente nel luogo in cui vengono generati (ad esempio, sensori o dispositivi), anziché inviarli prima a un data center o al cloud. Questo riduce la latenza e migliora la velocità e l’efficienza dell’elaborazione.

Le imprese sono a un bivio. Serve un approccio più maturo, strategico e personalizzato. Il futuro? Sempre più ibrido.

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