C’è uno spettro di un nuovo obbligo regolamentare che sta agitando i grandi player americani del cloud e dello streaming online. La nostra Agcom vorrebbe trovare il modo di regolamentare le CDN che alimentano ogni giorno il nostro streaming video, il cloud computing e buona parte dell’esperienza digitale.
In pratica, se gestisci una CDN sul territorio italiano — che sia per distribuire i tuoi contenuti (come fanno Amazon Prime Video, Netflix o Paramount), o per fornire il servizio a terzi (come Amazon AWS, Akamai, Cloudflare) — potresti presto dover ottenere un’autorizzazione, proprio come fanno oggi telco e operatori tradizionali.
Le Big Tech temono che dietro questa iniziativa si celi un tentativo di formalizzare accordi commerciali di interconnessione con le telco (Tim, WindTre…), con Agcom nel ruolo di arbitro. C’è persino chi parla di un potenziale conflitto di interessi, dato che alcune telco stanno sviluppando CDN proprietarie.
Più che tutela dell’utente o trasparenza, qui sembra in gioco una partita economica enorme, con tentativi mascherati di rinegoziare gli equilibri digitali.
Eh, la sensazione è proprio quella: una mossa astuta (e strategica) delle telco per rientrare dalla finestra in un dibattito che sembrava chiuso, quello del fair share (👉 “Visto che usate le nostre reti, dovreste pagarci una quota equa.)
Le telco (come TIM, Wind Tre, ecc.) infatti si lamentano da tempo del fatto che le Big Tech (Google, Amazon, Netflix, ecc.) usino massicciamente le loro reti per distribuire contenuti senza contribuire economicamente allo sviluppo o al mantenimento delle stesse infrastrutture.
Regolamentare le Cdn significa trattarle come pezzi di rete vera e propria, e quindi soggette a obblighi simili a quelli degli operatori di telecomunicazioni. Questo potrebbe portare alla necessità di stipulare accordi di interconnessione formali tra i fornitori di contenuti (che gestiscono le Cdn) e le telco… e a quel punto l’Agcom diventerebbe una sorta di arbitro nei rapporti commerciali tra le parti.
Quindi, più che una questione di principio, sembra una questione di soldi, potere e controllo delle reti del futuro.
Ed è interessante che proprio mentre l’Europa accantona il dossier fair share, in Italia si riapre la partita da un altro ingresso: quello regolamentare.