La sandbox regolamentare è un ambiente controllato dove intermediari vigilati e operatori del settore FinTech possono testare, per un periodo di tempo limitato, prodotti e servizi tecnologicamente innovativi nel settore bancario, finanziario e assicurativo.
Fico. Ma non funziona. Non viene utilizzata. E chi comanda qualche domanda se la dovrebbe fare.
L’esperienza della Sandbox in Italia rispetto al Regno Unito mette in evidenza un approccio e un contesto normativo che, anziché agevolare, rischia di ostacolare l’innovazione nel settore fintech. Mentre il Regno Unito ha adottato una visione decisamente più aperta, che ha permesso la nascita e la sperimentazione di numerose startup in ambito FinTech, in Italia il quadro regolatorio continua a rivelarsi limitante.
La scarsità di partecipazione italiana alla Sandbox è emblematica: su undici adesioni nel 2021, nel 2023 se ne è registrata solo una. Questo dato riflette un problema più ampio, che va oltre la singola iniziativa della Banca d’Italia e tocca la difficoltà di avviare una startup finanziaria in Italia. Infatti, gli oneri per accedere alla Sandbox sembrano essere paradossalmente maggiori rispetto a quelli previsti per operare direttamente sul mercato.
Nel Regno Unito, invece, l’adozione della Sandbox ha permesso di costruire un ecosistema FinTech dinamico, con oltre 150 startup che hanno beneficiato di questo supporto regolamentare, attirando investimenti e favorendo l’innovazione. Un esempio che evidenzia come un approccio normativo meno vincolante possa facilitare la crescita e lo sviluppo di idee all’avanguardia.
Per l’Italia, cambiare rotta potrebbe significare rivedere le modalità di accesso alla Sandbox, alleggerendo gli adempimenti e favorendo l’accesso a chi ha idee innovative ma necessita di un ambiente sicuro e protetto per testarle. Questo potrebbe contribuire a creare un ambiente più competitivo e a incentivare le startup locali a crescere senza doversi spostare all’estero.
Fonte: La Repubblica