Nell’industria automobilistica europea si agitano due presenze inquietanti, che rappresentano il passato ma influenzano ancora il presente. Il primo “fantasma” è quello di Carlos Tavares, licenziato da Stellantis a causa del fallimento della sua strategia negli Stati Uniti e del modello di business che ha implementato. Il secondo è Sergio Marchionne, il visionario CEO di Fiat Chrysler Automobiles, la cui visione critica e pragmatica sembra echeggiare nelle difficoltà dell’auto occidentale.
Se non sei nel business dell’automotive questo post, realizzato grazie al grande contributo di Paolo Bricco pubblicato su IlSole24Ore, ti chiarirà certemente le idee e ti spiegherà in che situazione versa il mondo dell’automotive.
Il modello Tavares: una strategia al ribasso
Carlos Tavares ha guidato Stellantis con un approccio basato su due pilastri principali:
- Contenimento estremo dei costi: un approccio volto a ridurre le spese, ma che ha portato alla polverizzazione di nuove linee di prodotto, rendendo l’offerta sempre più anoressica.
- Crescita artificiale dei ricavi: realizzata gonfiando i listini, una scelta che ha consentito profitti di breve termine ma ha compromesso la sostenibilità futura.
Questa strategia ha prodotto risultati immediati ma ha lasciato dietro di sé un settore indebolito, con margini in calo e una domanda crollata. Il caso di Renault è emblematico: tra il 2016 e il 2023, la casa automobilistica ha ridotto del 33% la produzione, incrementando però la marginalità del 79%. Anche Volkswagen ha seguito una traiettoria simile, con una riduzione del 10% della produzione ma un aumento del profitto per veicolo del 67%.
Il “modello Tavares” ha funzionato come un dopante finanziario: utile nel breve termine, ma deleterio nel lungo periodo, creando un’industria incapace di rispondere a sfide globali come l’elettrificazione e la concorrenza cinese.
L’eredità di Sergio Marchionne
Il secondo “fantasma” è quello di Sergio Marchionne, il quale, già nel 2015, denunciava l’insostenibilità dell’industria automobilistica durante un celebre discorso intitolato “Confessions of a Capital Junkie”. Marchionne descriveva un settore schiavo degli investimenti di capitale, incapace di generare margini adeguati rispetto ad altre industrie, come la farmaceutica (25%) o l’aeronautica (22%).
Marchionne sosteneva che una realtà come Fiat Chrysler, nata da aziende “povere” e con risorse limitate, non avrebbe mai potuto sostenere il passaggio all’elettrico senza interventi strutturali e una visione di sistema. Questo pessimismo trova conferma oggi, mentre l’Europa si confronta con il declino del motore endotermico e l’imposizione di scadenze drastiche, come il divieto alla vendita di motori a combustione entro il 2035.
La crisi del settore e le sue ombre
La crisi dell’automobile europea è dunque la somma di visioni incomplete e scelte strategiche poco lungimiranti. La riduzione dell’offerta, l’aumento dei prezzi e il calo della domanda sembrano una corsa disperata per mantenere i profitti di oggi, a discapito della marginalità futura.
Tavares, nel suo fallimento, rappresenta un sintomo più che una causa. Come diceva la Regina Rossa in Alice nel Paese delle Meraviglie, “devi correre almeno il doppio per andare avanti”. L’industria automobilistica europea, invece, sembra incapace di accelerare, bloccata in un circuito di marginalità insufficiente e innovazioni tardive.
Una fiaba oscura per il futuro dell’auto europea
L’auto europea appare oggi come una fiaba oscura, in cui il campo di gara globale si restringe sempre di più. La Cina avanza inarrestabile con elettrificazione e digitalizzazione, mentre l’Europa resta prigioniera di vecchie logiche industriali.
I fantasmi di Tavares e Marchionne sono un monito per l’industria: non basta contenere i costi o inseguire profitti immediati. Serve una visione di lungo termine, capace di ridefinire il ruolo dell’auto occidentale nel mercato globale, prima che diventi irreversibilmente marginale.