C’è da rimanere allibiti. Non c’è bisogno di guardare a quanto succede sulle colline di Holliwood per capire che, forse, dico, forse, è necessario ripensare a come proteggere le nostre imprese (ma sarebbe bene anche i beni privati) il prima possibile. Eppure.
La scadenza di fine anno (2024) per la pubblicazione del decreto sulle polizze catastrofali obbligatorie è ormai ampiamente superata, ma il provvedimento ancora non è stato varato. E questo rende sempre più probabile che tra gli emendamenti al decreto Milleproroghe, che saranno depositati nei prossimi giorni, spunti un ulteriore rinvio della data dalla quale fare decorrere l’obbligo a stipulare una copertura contro i danni da calamità naturali. Probabilmente si tratterebbe di una proroga, dal 31 marzo alla fine di aprile.
Il ministero per l’Economia e quello per lo Sviluppo Economico dovrebbero aver ormai firmato il documento che è stato rivisto in alcune parti a seguito dei due pareri del Consiglio di Stato, uno sul decreto e l’altro sulla convenzione Ania-Sace, arrivati nel dicembre scorso. La pubblicazione del decreto viene data per imminente ormai da varie settimane, ma finora senza esito.
Compagnie e imprese attendono la pubblicazione del provvedimento (il quale dopo la firma dei dicasteri deve passare anche alla registrazione delle Corte dei Conti), che introduce una forma di obbligo per le imprese produttive a stipulare polizze contro danni causati alluvioni, frane e terremoti. Il ritardo nella pubblicazione è dovuto ai correttivi necessari ad allinearsi alle prescrizioni dei magistrati amministrativi.
Uno dei rilievi sollevati dalla sezione che si è espressa sul decreto, era proprio relativo al periodo transitorio lasciato alle imprese prima che scattasse l’obbligo di stipulare la polizza. Nella bozza di decreto fatta circolare prima del passaggio in Consiglio di Stato erano stati previsti tre mesi di tempo dall’entrata in vigore per adeguarsi. I magistrati hanno, però, messo in evidenza come quel periodo transitorio fosse in contraddizione con quanto previsto dalla finanziaria approvata a fine 2023, la quale fissava il 31 dicembre 2024 come scadenza.
È stato per quel motivo che l’Esecutivo ha deciso di inserire nel Milleproroghe lo slittamento al 31 marzo del 2025. Il rinvio della pubblicazione del decreto oltre il 31 dicembre rende ancora una volta provvedimento e norma del Milleproroghe non allineati: se, ad esempio, il decreto il fosse pubblicato domani, in teoria la scadenza per mettersi in regola scivolerebbe alla prima metà di aprile.
Nel frattempo, però, secondo alcune indiscrezioni, i ministeri avrebbero provveduto a inserire tra i correttivi introdotti dopo i pareri del Consiglio di Stato la riduzione del periodo transitorio da tre mesi a un mese. Questo in teoria potrebbe dare più tempo e consentire di arrivare fino alla fine di febbraio per pubblicare il decreto senza andare in contraddizione con il Milleproroghe.
Nella realtà, però, già oggi i tempi tecnici per consentire alle attività produttive, anche quelle più piccole come i negozi, di adeguarsi sarebbero ridotti all’osso: sono circa due mesi e mezzo, ma il rischio è che siano ancora di meno perché il decreto difficilmente, secondo alcune fonti, sarà in Gazzetta ufficiale prima della fine di gennaio.
Da tutte queste considerazioni nascerebbe la necessità di un proroga tecnica: soprattutto per dare più ossigeno alle imprese produttive per adeguarsi. Il decreto incentivi varato a fine anno, infatti, è già entrato in vigore con tutte le sue implicazioni: in particolare la previsione per la quale le imprese che non hanno una polizza contro le calamità naturali perdono il diritto agli incentivi pubblici, comportando la decadenza. Se si pensa che il 30% delle attività produttive (soglia che sale sopra il 50% per le microimprese) ha in essere finanziamenti supportati dalle garanzie pubblica, si può immaginare quale potrebbe essere l’impatto. Altro aspetto evidenziato dai magistrati è lo scoperto non superiore al 15% per tutte le imprese, mentre nel decreto per le imprese con fatturato superiore a 30 milioni l’entità dello scoperto è lasciata alla negoziazione tra le parti. L’incongruità sarebbe stata superata seguendo le prescrizioni del Consiglio di Stato, e cioè con l’invio di una relazione supplementare che giustificasse la scelta. In particolare, il motivo è legato alla necessità di lasciare flessibilità per le aziende più grandi di aumentare lo scoperto, anche al fine di ridurre il costo della polizza.
Fonte: IlSole24Ore